Jeff Beck è probabilmente il chitarrista sconosciuto più famoso al mondo o, se preferite, il chitarrista meno conosciuto più famoso al mondo. Insomma, è un ossimoro.
Una contraddizione in termini. Un contrasto intrinseco. Eppure, la realtà è essa stessa fatta di contrasti. Essa si alimenta di tali contraddizioni e ne fa una sintesi. Pensiamo alla notte e al giorno, al caldo e al freddo, al solido e al liquido. E tuttavia, anche se molto di quello che vediamo e percepiamo ci sembra lineare, scorrevole, facilmente identificabile, ad un’analisi più attenta, dietro le apparenze sensibili (ah, il famoso Velo di Maya!) convivono contrasti e antinomie. Siamo sempre lì: il vezzo dell’essere umano di dover identificare ed etichettare tutto con l’obiettivo di rendere la realtà facilmente riconoscibile ed inquadrabile in comode categorie pre-costituite. E così, tutto ciò che può rapidamente essere ricondotto all’interno di schemi diventa familiare e, dunque, facilmente assimilabile.
Piace immediatamente ciò che possiamo riconoscere, perché non comporta fatica e non mette in discussione le nostre certezze. Poi, però, ci sono dei fenomeni in natura, neanche troppo rari, difficilmente inquadrabili nelle categorie tradizionali con cui schematizziamo la realtà e che ci chiedono qualche sforzo in più per poterli decifrare. Oggetti o personaggi che a primo impatto ci lasciano spiazzati e spaesati. A questo punto, si hanno due tipi di reazioni: c’è chi si ritira nelle proprie certezze, senza cambiare mai. Oppure ci sono coloro che davanti a questo senso di ‘non-familiarità’ ne rimangono affascinati, irresistibilmente attratti e decidono di approfondire, di scoprire, certi della sensazione che ne usciranno completamente conquistati e modificati.
Questo è l’effetto che può fare l’approccio di Jeff Beck alla musica e alla chitarra ad un primo incontro. Ed è quello che spesso ho potuto riscontrare nelle risposte dell’ascoltatore medio di musica rock o del chitarrista rock tradizionale. Cito, ad esempio ”Sì, Jeff Beck l’ho sentito nominare spesso ma non ho mai ascoltato nulla” oppure, “Sì, ricordo una volta in cui un mio amico mi ha fatto ascoltare un brano, non ricordo quale, però, non sono riuscito ad identificare bene il suo stile….sai, l’ho trovato strano…..”. Forse alcuni di voi rimarranno sorpresi nel leggere questo tipo di risposte. Ebbene, accade più spesso di quanto si possa immaginare, soprattutto al livello di cultura musicale di massa, compresa quella di noi chitarristi.
In particolare, quanto sin qui detto acquista un senso se ti chiami Jeff Beck e sei un chitarrista dalle doti geniali e, tuttavia, non hai mai prodotto una hit rock vera e propria (a parte un singolo dal sapore beat, ‘Hi Ho Silver Lining’, pubblicato nella seconda metà degli anni ’60, famoso solo in patria e per una stagione ma senza essere mai diventato l’inno di una generazione o di un genere o di un’epoca) come gli altri tuoi illustri colleghi (si pensi a Stairway To Heaven dei Led Zeppelin, a Smoke On The Water dei Deep Purple o a Sunshine of Your Love dei Cream, e ad altre rock hits). Non hai mai scritto un riff di chitarra entrato di prepotenza nella storia del rock né hai mai inciso un solo di chitarra per un brano che avrebbe scalato le classifiche mondiali, anche se poi un po’ tutti i chitarristi si sono ispirati a te o hanno riciclato le tue intuizioni (Mr Page, ci sei?).
E poi, hai un carattere imprevedibile, irascibile, impulsivo, ribelle, incurante delle mode ma, al contrario, molto interessato ad esplorare le possibilità che questo oggetto dotato di sei corde può offrire una volta collegato ad un amplificatore. Insomma, sei motivato e spinto più dalle emozioni e dalla voglia di metterti musicalmente in gioco che dalle convenienze, dalle mode e dalla ben economicamente remunerativa prevedibilità musicale, che a tanti permette tutt’oggi di poter campare lautamente riproducendo la solita (bella) solfa da 40 anni. Non ami ripeterti musicalmente né campare di rendita. Sei mosso dal desiderio di crescere e di non piegarti ai dettami musicali e chitarristici dominanti. Sei per natura un bastian contrario e sei allergico a ogni forma di omologazione e di etichetta. Non ti piace assecondare troppo il pubblico. La tua specialità è rompere le regole, spiazzare l’ascoltatore, sorprenderlo per poi trasportarlo su coordinate sonore inedite, avventurose, capaci di cambiare la sua, e la tua ovviamente, percezione della chitarra. La tua natura è mutevole, incontentabile, curiosa e tormentata. Hai bisogno di esplorare nuovi spazi musicali, mutar pelle rimanendo al fondo sempre te stesso, immergerti in sonorità esotiche, nel senso etimologico del termine (qualcosa che proviene da fuori, straniero, non familiare) e fonderle con la tradizione della musica occidentale.
Nella tua visione artistica, la chitarra deve sfidare i suoi stessi limiti fino a tramutarsi in quella bacchetta magica che, nelle tue mani, riesce a creare suoni che sembrano provenire da un Altrove. Tu sei Jeff, e non puoi limitarti a suonare lo strumento in maniera convenzionale, devi andare Oltre: ogni nota deve recare in sé un significato che rimanda ad una Dimensione profonda, inaccessibile, e tu sei il Demiurgo che infonde vita a questo mondo di suoni e ne dirigi la direzione.
Ovviamente, per dare vita a tutto ciò non hai bisogno di chissà quali effetti o diavolerie digitali di ultima moda né di amplificatori ultra-prestanti e superdotati. No, no. Ti bastano una chitarra, preferibilmente una Fender Stratocaster, e un ampli valvolare ‘a palla’, come si suol dire, e la Magia è fatta. Sono le tue mani, soprattutto le dita della mano destra, infatti, il medium con cui ‘tiri fuori’ dal corpo della chitarra quei suoni e quelle emozioni. Proprio come fa un mago con il famoso cilindro. O, per rimanere con i piedi per terra, come fa un artigiano che con lo scalpello tira fuori l’anima dal marmo e la trasforma in una statua che sfiderà l’eternità.
Ecco chi è Jeff Beck, uno dei più grandi innovatori della chitarra elettrica, unanimemente acclamato e riconosciuto come uno dei più influenti chitarristi rock di sempre. Un musicista dalle doti geniali, capace di mutar pelle sonora più spesso di un serpente e di cambiare idea più velocemente del vento. Un ossimoro che tuttavia conserva un’identità; un’essenza mutevole e non etichettabile ma che tuttavia persiste nel proprio essere.
Eccolo Geoffrey Arnold “Jeff” Beck (Wallington, Inghilterra, 24 Giugno 1944), innamorato sin dall’infanzia delle macchine d’epoca (è anche un ottimo restauratore di hot rod) e del rock’n’roll di Gene Vincent & His Blue Caps e del loro chitarrista, Cliff Gallupp. Ne diventa ossessionato al punto da costruirsi una rudimentale chitarra con la quale emulare il suo idolo.
È da lui che apprende i primi fraseggi rock’n’roll, che più tardi rielaborerà nel proprio bagaglio personale di licks. E poi il blues, i tre King, BB, Albert, Freddie, e Robert Johnson e la sua musica del diavolo. I pomeriggi trascorsi con l’amico di quartiere Jimmy Page a tirare giù a orecchio riff, accordi e soli di chitarra dei loro idoli per poi vedere che effetto fa suonarli insieme a due chitarre nel salotto di casa mentre mamma Beck prepara il tè. Già, l’amico Page, quello con il quale condividerà la prima vera importante avventura musicale, gli Yardbirds, e la cui amicizia sarà attraversata da momenti di tensione e di delusione, per poi riconciliarsi definitivamente nel 2009 quando Mr Page pronuncerà solennemente davanti a tanti invitati il discorso di ammissione del suo amico Beck nella Rock’n’Roll Hall of Fame.